Cosa ti lascio di me, e tu cosa prendi?

Se lo chiedeva, legittimamente, il buon Tiziano Ferro in una delle sue più belle canzoni.

Ed in effetti, questa è una di quelle domande che poche persone si pongono quando finisce una relazione.

Io, invece, credo che potrebbe essere utile farsi questa domanda, soprattutto perché servirebbe a ristrutturare l’accaduto in termini evolutivi per entrambe le parti coinvolte.

Mi capita sempre più spesso di ricevere pazienti in studio, disperati perché hanno perso l’amore della loro vita e che mi chiedono: “Cosa devo fare adesso che mi ha lasciato/a??”, “Che ne sarà di me senza di lei o senza di lui?”, “Adesso che mi ha abbandonato, la mia vita non ha più un senso”.

Il dolore che si prova per essere stati abbandonati o per la fine di una relazione è paragonabile a quello che si prova nell’esperienza del lutto proprio perché si ha un distacco improvviso e repentino non solo dalla persona che, per anni, è stata la nostra “casa sicura”, ma anche da tutta una serie di abitudini e situazioni che, per forza di cose, vengono a mancare.

L’esperienza che spesso viene riportata in terapia è quella di “un fulmine a ciel sereno” e credo sia perfetta per descrivere quello che accade nella vita di coloro che si sono ritrovati nella condizione di essere stati lasciati.

A volte il dolore è indescrivibile e si fa fatica a reagire, soprattutto nelle prime fasi, altre volte si trasforma in rabbia e violenza, altre ancora non lo si accetta e si finisce per immaginare scenari distruttivi per se stessi dove si annulla la prospettiva di essere felici sia da soli che con un’altra persona.

E tutto questo, sapete, è fisiologico e assolutamente legittimo: le primissime fasi di una separazione non sono mai facili da affrontare, ci si sente impotenti e anche responsabili per aver contribuito a quel destino nefasto; si piange, ci si arrabbia, si cerca di fare qualcosa per recuperare l’irrecuperabile ma quando davvero comprendi di non poter fare più nulla, ricordati che, per quanto tu la veda nitida dinanzi a te, NON È LA FINE.

Quel dolore lo devi attraversare quasi come una lunga strada buia e tortuosa che devi necessariamente percorrere perché sai che quella è l’unica via da prendere per “uscire fuori” da quel loop mentale che non ti permette di vedere realmente oltre.

E sai anche che ogni passo che farai porterà luce a quegli angoli bui che adesso ti fanno paura perché non li conosci, ma quando li avrai illuminati ti sembreranno così diversi da permetterti di guardare al mondo con occhi nuovi e con nuove e mature consapevolezze.

E sarà proprio da quegli angoli bui che maturerai le risposte alla domanda del buon Tiziano, stavolta in chiave meno romantica ma pur sempre lucida e consapevole.

Ogni relazione ci segna profondamente più di quanto immaginiamo: le persone che incontriamo, uno sguardo o un sorriso, le parole, si imprimono dentro di noi come fossero tatuaggi che pensiamo di dimenticare ma che riemergono, di tanto in tanto quasi come a ricordarci chi eravamo e come stavamo in quella relazione, seppur breve.

E si tratta di emozioni positive o negative che, pur sempre, ci condizionano ma se saprai attraversarle e rielaborarle non saranno più “decisive” per le tue relazioni future, e se sarai in grado di avanzare coraggiosamente in quel percorso, sarà un momento molto importante per la tua identità e per la tua crescita psicologica, un percorso nel quale tu sarai la tua meta e la tua luce e dal quale imparerai tu stesso ad “essere relazione” prima con te e poi con gli altri.